Una serie di nidi che si inanellano come una filastrocca visiva.
Nidi di rondine, tessuti a nido d’ape, sentieri di nidi di ragno, asili nido e nidi d’amore.
O piuttosto, questi di Castelli, sono nidi d’umore, di umori da dove sciamano nidiate di pensieri visivi.
Tra “nidi” e “nodi” il passo è breve, c’è un differenza piccola piccola, di una sola lettera: la “i” di “infanzia” si chiude ermeticamente su se stessa e diventa “o”. Ammiccando al Perec di Specie di spazi, si può dire che la vita è passare “dal nido al nodo” della nostra individualità che tanto ci costa aggregare e ancor più sciogliere.
C’è un’imprescindibilità del nido. Figura archetipica, richiama una serie di azioni altrettanto primarie quali la nascita,“la cova”, la presa in cura, l’iniziazione all’autonomia sotto forma di “lezione di volo”.
Non so se avete notato che i nidi non sono quasi mai completamente vuoti: resta sempre impigliata una piuma o un non so che.
L’energia del movimento potenziale, l’alito del volo resta intorno al nido.E il suo fruscio.
A volte basta il calore di una lampadina o di uno sguardo per riattivare questi concentrati dispositivi poetici.
Elisabetta Longari
marzo 2006